la qualità della musica da consumo

Ho sempre amato la musica.
Ne ho ascoltata tanta, cercando di non farmi imbrigliare nei filoni ristretti del singolo genere musicale, cercando di spaziare il più possibile, godendone spesso pienamente le emozioni trasmesse. Ma da qualche tempo in qua, ho una sorta di rifiuto, è come se avessi l'equivalente del vuoto creativo per chi compone, ma da applicarsi al consumatore: un'inappetenza musicale, che non riesco a spiegare.
Poi mi è venuta un'idea: sarà la qualità stessa della musica, che si è adattatta alle forme con cui è commercializzata? La musica è usa e getta, con questo download estremo, questa produzione isterica, queste continue nuvità già vecchie. E la qualità si è adeguata. Sa di non poter durare, per cui perché sfrozarsi per dover durare negli anni? Perché rischiare con opere coraggiose, intense, in cui io artista metto me stesso in gioco, esponendo la mia stessa anima?
Il pensiero mi ha agghiacciato: mi sono visto come uno di quei nostalgici degli anni '70, che ascoltando gruppi come gli Iron Maiden o i Guns'n'Roses, commentavano con la stessa lapidaria frase: "non c'è paragone con i guppi veri, i Deep Purple, o i Led Zeppelin', o i Jetro".
Sono diventato anch'io così?
Potrebbe essere, non c'è niente di male, gli anni passano e la nostra percezione delle mode e novità cambia. Però mi dispiace, significherebbe che ho perso una certa obiettività, oltre alla freschezza di pensiero.

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