L'abito fa il monaco? O no?

Una riflessione, un po' sciocchina, forse.
Parliamo dell'abito, soltanto di quello, applicando il detto alla lettera, per una volta.
Mi e' capitato ultimamente di dover valutare delle persone, per lavoro. Dover fare delle interviste, come chiamano qui i colloqui di lavoro. Come mio solito mi sono messo a fantasticare, a immaginare le persone con cui ho a che fare tutti i giorni che dovessero, ad esempio, affrontare un colloquio, magari indossando il loro abito buono, quello delle grandi occasioni, facendosi la barba e sistemandosi i capelli solitamente arruffati in ciocche scompigliate.
E ho pensato: potrei classificarli in base al loro abbigliamento medio? Non quello che metterebbero per un colloquio, che sarebbe oggettivamente difficile, ma sapendo come solitamente vestono, tutti i giorni.
Ho iniziato a creare delle categorie, dove c'era, ad esempio, "il superficiale", "il trasandato", "il finto trasandato", "l'impettito", "il disorganizzato" (dicesi anche gusto dell'orrido, o eventuale daltonismo), "l'elegante", "il finto elegante" (brutta copia del precedente), "il griffato", e così via. Non è certo esaustiva.
Quello che ne è emerso è che le persone trasandate, disorganizzate e finte eleganti sono, statisticamente, migliori delle altre, sono più attente alle cose, più precise e disponibili. Quelle che curano di più l'aspetto fanno spesso ostruzionismo e sono superficiali. Tutta facciata. Sei tutto chiacchiere e abito buono, per parafrasare De Niro.
Però ci sono delle eccezioni, perché l'umanità è indubbiamente la più varia tra le specie animali.

Commenti

Anonimo ha detto…
"L'ONESTA' PAGA?"
Qualche anno fa ho dovuto rimettermi a scrivere curricula lavorativi perchè, purtroppo, da poco superati i 30 anni, ero rimasta disoccupata.
Ricordo il periodo con ansia ed angoscia.
A parte il problema contingente di tipo economico (cioè la mancanza di uno stipendio/guadagno che l'essere disoccupati comporta), la cosa che mi faceva soffrire di più non era tanto il fatto in sè di essere senza lavoro in quel momento (cosa che poteva, per un breve periodo, essere anche vissuta come una pausa o una vacanza). La cosa che mi terrorizzava era l'assenza di prospettive e di progettualità per il futuro. Il fatto di vedere dinnanzi a me il vuoto, il nulla!
A parte questi aspetti (che credo condivisibili anche da altre persone che hanno vissuto o stanno vivendo situazioni analoghe), in quel periodo, compilando il mio curriculum vitae e leggendo curricula altrui, mi è capitato di riflettere su aggettivi e attitudini in essi riportati.
Da questa riflessione ho dedotto che anche i curricula sono cambiati nel tempo, adeguandosi ai nuovi "valori" (saranno poi tali...?) della società in cui viviamo.
Tra le caratteristiche più "gettonate" nei curricula attuali, compaiono infatti aggettivi quali: "solare", "positivo", "dinamico" ed altri simili (anche se, magari, quello per cui ci si candida è un lavoro d'ufficio con poche relazioni interpersonali). Verrebbe da chiedersi, per provocazione, se una persona "ombrosa", "negativa", "sedentaria" non possa svolgere lo stesso egregiamente determinati compiti lavorativi.
Altra attitudine che va per la maggiore è la "predisposizione a lavorare in team": sembra che tutti "muoiano dalla voglia" di fare gruppo, di fare squadra! quando invece spesso in ambito lavorativo si assiste a scene di arrivismo ed individualismo per primeggiare a scapito dei colleghi.
Ultimo (ma non per importanza) salta spesso all'occhio il particolare rilievo dato agli hobbies: ecco comparire termini come "stencil", "decupage", lavoro a maglia o uncinetto, ecc... Tali attività vengono segnalate forse con il fine di sottintendere qualcos'altro. Ovvero: se pratico un determinato hobby allora, come logica conseguenza, vorrà dire che possiedo determinate caratteristiche lavorative.
La conclusione che potrebbe essere tratta è che anche nei curricula, come spesso accade nella vita, si dà più risalto all'apparenza e ad aspetti secondari, piuttosto che alla sostanza.
Verrebbe da chiedersi perchè non compaiano quasi mai (o stiano andando in disuso) requisiti forse più "banali" e semplici (ma non per questo meno importanti), quali l'affidabilità, la puntualità e, soprattutto, l'ONESTA'. Ma, si sa, nella vita come nel lavoro, paga di più essere furbi che onesti.

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