Calvino ed il Barone Rampante

Recentemente mi è capitato di rileggere il celebre libro di Calvino, "Il Barone Rampante", appunto. È la vicenda di Cosimo, figlio di un barone, che a causa di un litigio futile per un piatto di lumache rifiutate, che rappresenta l'imposizione dei genitori ai figli, decide di andare a vivere sugli alberi, da cui non scenderà più.
Non voglio fare una critica di questo romanzo visionario ed interessante, che consiglio di leggere in ogni caso, la mia è una riflessione semplice, forse addirittura ottusa.
Dopo averlo riletto, nelle vie svariate corse a piedi in vari sentieri, in tutti i boschi in cui mi è capitato di transitare (vicino a casa, ma anche in Liguria, in Sardegna, in Toscana, in Svizzera dove lavoro, in vari luoghi dove sono stato per villeggiatura e lavoro), ho cercato di fare attenzione ai boschi, alla loro conformazione, alla distanza media, ma soprattutto minima, tra le piante.
So che è una fesseria, perché Calvino non aveva certo intenzione di scrivere un romanzo neorealista, però mi sono reso conto che non sarebbe possibile vivere sule piante, spostarsi da una pianta ad un altra. Neppure in un bosco fitto, se non per qualche fortunoso passaggio tra due piante.
Figuraimoci se poi c'è una strada, anche stretta, anche non asfaltata, da percorrersi con la Jeep. L'unico modo potrebbe essere fare dei grandi salti, come le scimmie.
A volte correndo vengono in mente cose stupide.

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