Sfatiamo un mito: la nostra dinamica adolescenza

Sabato mattina sono andato al parco con i bimbi, il piccolo nel passeggino, nel vano tentativo di farlo dormire, ed il grande a piedi, così da farlo giocare un po' tra scivoli, altalene e castelli in tubi metallici su cui arrampicarsi.
Vorrei sfatare il mito alimentato da una mail che sicuramente tutti voi avete ricevuto: quella che celebra, anzi, autocelebra, l'infanzia e l'adolescenza di tutti quelli nati negli anni '60 e '70 (quelle più recenti ci hanno già aggiunto gli anni '80, con una forzatura che il padre dell'e-mail propabilmente non avrebbe accettato). Una mail molto bella, per chi sa di appartenere alla categoria, dove si elencano una serie di azioni e condizioni che contraddistinguono la nostra infanzia, evidenziando la differenza con quella dei bambini moderni. Ad esempio: un viaggio sul cassone di un camioncino che era un'esperienza indimenticabile; non c'era nessuno bambino in sovrappeso; eravamo in giro da soli tutto il giorno con il solo obbligo di tornare per pranzo/cena; bevevamo dalla stessa bottiglia o dalle fontane senza preoccuparci delle malattie, e via discorrendo.
Tutte cose vere.
Però al parco, in data 30 agosto 2008, c'erano due bambini, di meno di dieci anni, che giocavano a pallone, da soli. Erano a dorso nudo, entrambi molto magri, come tutti i bambini abituati a giocare all'aperto. Nessuno dei due aveva l'orologio, ed uno di loro si è rivolto a me con "Signore, sa dirmi che ore sono?". Signore? A me? Mi sono quasi commosso.
Avevano evidentemente l'unica e semplice regola di dover rientrare per pranzo. Hanno continuato a giocare fino alle undici ed un quarto circa, poi si sono rimessi le magliette, hanno bevuto dalla fontanella del parco, e si sono incamminati verso casa.
E' vero che il mio è un piccolo paese di periferia, dove forse la trasformazioni già avvenute nelle grandi città non sono ancora arrivate, ma mi sono sentito orgoglioso di loro, e pieno di speranze per il futuro.

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