Lee Stringer, scrittore di vita di strada


Ho scelto questa foto, tra le tante disponibili in rete, perché mi sembrava che rappresentasse bene una sua caratteristica riconoscibile: gli occhi a fessura, forse strascico corporale degli effetti del crack su un essere umano. Questo afroamericano con il naso largo da pugile ha vissuto per dieci anni alla stazione centrale di New York, non perché lavorasse lì. Semplicemente non aveva una casa migliore di quella, era un senzatetto, e ne voglio parlare perché una sua intervista letta di recente mi ha molto incuriosito. Ora fa lo scrittore, e credo che cercherò i suoi libri, poi vi farò sapere.
Due cose nell'intervista mi hanno colpito. La prima, parlando dell'America degli anni '80, quella che per noi era ancora il mito per una vita al massimo, una Valle dell'Eden, un posto migliore, di cui assorbire abitudini e da cui importare tutto ciò che la rappresentasse, parlando di "quella" America, ha detto: "[...] nella società americana non si viene incoraggiati a vivere il momento, ma a guardarsi indietro con nostalgia o avanti con timore. La Costituzione ne auspica la ricerca ma c'è un complotto contro la felicità. Viene sempre spostata avanti, un altro po' avanti. Non è mai qui e ora [...]". Stiamo parlando della stessi Stati Uniti che vedevamo noi in TV con occhi sognanti?
La seconda, che condivido appieno, parlando del momento migliore per scrivere, ha dichiarato: "Io scrivo al mattino, appena sveglio, prima ancora di aver preso il caffè. Se sei troppo sveglio il cervello prende il sopravvento, e il buono sta nell'inconscio".
Vive solo di scrittura, ma solo perché "vivo con poco", ha dichiarato.

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