Ancora sul relativismo dell'età - l'alibi della società

Brava Sandra.
Per tutti gli ultra trentenni in ascolto, non sentitevi attaccati dal post precedente.
O meglio, sentitevene coinvolti, presi in causa, ma avete un alibi enorme: l'atteggiamento della società.
Perché ormai quanti trentenni vivono a casa con mamma e papà, non avendo, ahiloro, un reddito sufficiente per permettersi di costruirsi una vita da soli, di volare con le loro ali? In questo paese dove tutto costa caro e nessuno ha più garanzie sufficienti da fornire ad una banca per un mutuo.
E la società si è adeguata, lo si apprende dai giornali, dal modo di comunicare le notizie.
Se il protagonista di una vicenda, non importa l'argomento, può essere scaboroso, di violenza, positivo o negativo, ma se ha quarant'anni lo si definisce "un giovane di quarant'anni". Se ne ha cinquanta "un giovane uomo di 50 anni".
Ma a quale età si diventa adulti, in Italia?
Non perché non siate effettivamente vecchi. E vale anche per me, ovviamente.
Ma, santo cielo, io sono felice di sentirmi definito come uomo, non più ragazzo. Sono fiero di essere adulto!
Forse perché ho di fronte mio figlio Tommy, di tre anni e mezzo, che ieri sera mi ha chiesto: "Papà, quando sono grande, posso bere anch'io il vino?"
E mi sono reso conto di quanti enormi privilegi abbiamo, noi adulti, e di quante potenzialità, visti con gli occhi grandi di un bambino.

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